afNews 7 Maggio 2022 10:00

Di sogni, nuvole e mele cadenti: l’Animazione “mavì” di Julia Gromskaya

Nel corso degli anni Novanta il professor Giannalberto Bendazzi, con una delle sue mirabili intuizioni, si trovò a constatare che nel panorama artistico dell’Animazione nazionale andava sempre più distinguendosi un piccolo nucleo di autori indipendenti ed elusivi, fortemente legati a una concezione artistica e poetica di questo linguaggio, e uniti – ma senza alcun “manifesto” o dichiarazione esplicita di intenti – da diversi elementi stilistici e, soprattutto, da un’analoga “Weltanschauung”.

La definizione allora provvisoriamente – quanto efficacemente – coniata, di Corrente Neopittorica”, venne poi dallo stesso Bendazzi rispolverata come tema della tesi di laurea di Priscilla Mancini, sua allieva al Corso di Storia dell’Animazione presso l’Università di Milano, da cui scaturì poi il fondamentale saggio “L’Animazione dipinta” (Tunué, 2016).

Uno dei capofila neopittorici citati nell’opera è Simone Massi, di cui abbiamo avuto modo di parlare QUI  qualche tempo fa; come esponente più “recente”, in termini temporali e anagrafici, viene indicata Julia Gromskaya, sua compagna di vita e d’arte, per descrivere la quale ricorriamo ancora alle efficaci parole di Giannalberto Bendazzi:

“… stile colorato – opposto a quello minimalista prevalentemente in bianco e nero di Massi – [Gromskaya] porta nei suoi corti le storie della tradizione russa (ma non solo) in un’ottica universale in cui tutti gli spettatori possono riconoscersi. Inserita come ‘oriunda’ nella Corrente Neopittorica, ha anche la cittadinanza italiana: un perfetto caso di assimilazione piena!”

Nata a Kharkov (ex Unione Sovietica),  nel 1980, dopo il diploma in Filologia, frequenta il Liceo Artistico per poi trasferirsi a Kiev dove entra a far parte dello staff del KROK International Animated Films, come interprete e collaboratrice all’assistenza degli ospiti, tra i quali si trovano giganti dell’Animazione quali Yuri Norstein. Proprio qui, a bordo della nave Taras Shevchenko che fa la spola dalla Russia all’Ucraina, nel 2005 conosce il futuro marito, l’animatore Simone Massi. Con lui si trasferisce in Italia, nel paesino marchigiano di Pergola, iniziando a lavorare come animatrice e illustratrice.

Il suo primo cortometraggio, “L’anima Mavì” è del 2009, e da allora i suoi film sono stati selezionati ai Festival di 52 Paesi del Mondo ricevendo numerosi riconoscimenti. Come illustratrice e disegnatrice ha realizzato, tra l’altro, i manifesti per due edizioni del festival Il cinema italiano visto da Milano e collaborato alle animazioni dirette dal marito per i film documentari “Il senso degli altri” di Marco Bertozzi (2007), e “La strada dei Samouni” di Stefano Savona (2018). Per quest’ultima fatica, il team di Massi si è aggiudicato, prima volta per l’Animazione, il premio speciale Flaiano.

Massi e Gromskaya sono entrambi, anzitutto, dei narratori.

Ma se il primo quasi ci paralizza nello “sguardo di Medusa” dei suoi personaggi, custodi (o vestigia?) di una Memoria spesso umiliata e congelata in un tempo ellittico che avvolge e sovrasta come in una selva oscura, la seconda, con i suoi cromatismi solari seppur velatamente malinconici, pare invitarci – come nel racconto di Michail Michajlovic Prisvin poi ripreso da Mario Rigoni Stern –  ad avventurarci “sulle tracce del magico Kolobok”, la guida fatata delle favole sovietiche che, rotolando come una tonda focaccia, induce a lasciare la sicurezza della propria casa per andare alla scoperta di lontane contrade e verso inaspettati incontri.

Seguendo questa suggestione, iniziamo la nostra conversazione con Julia Gromskaya, Animatrice.

 GZ- Un breve excursus sulla tua formazione artistica e professionale

 Sono nata in Unione Sovietica e cresciuta con il cinema d’animazione dell’Europa dell’Est. In quel periodo c’erano tanti autori bravissimi, molti lavori di alta qualità e gusto artistico, come “Il riccio nella nebbia” di Yuri Norstejn, un film che adesso mostro anche ai miei figli.

Disegno da quando ero piccola, ma la mia passione vera è sempre stata quella per i colori. Possedevo numerosi libri illustrati da colorare, e poi leggevo tante fiabe: mi affascinava quel mondo magico. Crescendo, ho iniziato a vedere il disegno più come un gioco o un passatempo, e nel momento in cui ho scelto di studiare filologia l’ho un po’ abbandonato ma mai del tutto. Di tanto in tanto tornavo a dedicarmici, e per un periodo ho anche frequentato il liceo artistico. Poi, a ventiquattro anni sono entrata nello staff del Festival d’animazione KROK ed ho avuto la possibilità di conoscere diversi autori e di assistere alle loro masterclass. Alla fine, penso che tutte queste esperienze, insieme, mi abbiano avvicinato al mondo dell’arte e all’animazione.

Il riccio nella nebbia (Ëžik v tumane) di Yuri Norstein e Frančeska Jarbusova (1975)

GZ – L’esperienza del Krok Festival e l’incontro con gli autori di animazione – il valore del Festival sul piano dello scambio artistico e umano – quali autori ritieni decisivi per il tuo percorso artistico?

L’esperienza di Krok* ha senz’altro svolto un ruolo importante nella mia vita professionale e personale. Lì ho avuto l’opportunità unica di poter conoscere i maestri dell’animazione che avevano segnato la mia infanzia. Krok è un festival unico al mondo, perché si svolge su una nave e fa una crociera durante la quale vengono proiettati i film in concorso e proposte le retrospettive degli ospiti più prestigiosi, i quali tengono anche delle masterclass e dei laboratori. In questo contesto ho anche incontrato mio marito, Simone Massi, nel lontano 2005, su quella nave che navigava verso Odessa…

Inizialmente a colpirmi sono stati i lavori di autori quali Ursula Ferrara, Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati, Magda Guidi, Georges Schwizgebel e Frederick Back. Mi piace molto il modo in cui impiegano il colore.

Ma prendo anche tanta ispirazione dai registi del cinema “dal vero”, e adoro Federico Fellini, la cui arte mi ha segnato profondamente. Gli ho dedicato anche un piccolo omaggio, nella scena finale del mio corto d’esordio “L’anima mavì”.

GZ- Passiamo alla collaborazione con Simone Massi: il tuo ruolo nello specifico e l’evoluzione successiva del tuo lavoro (tecnica e stilistica). La scelta di dedicarsi a un’animazione materica, faticosa e dai tempi molto lunghi è frutto di questo periodo o era presente già da prima?

Con Simone Massi ho cominciato a collaborare dopo che ci siamo sposati.

In quel periodo lui stava finendo “La memoria dei cani”. Simone è stato mio maestro, da lui ho appreso le basi dell’animazione, innamorandomi del suo stile di regia. Vivendo insieme ho assistito alle diverse fasi del lavoro, e in alcuni casi ho fatto pratica dandogli una mano, soprattutto nelle riprese. Oltre a ciò, naturalmente, ci scambiamo opinioni e consigli.

Julia Gromskaya e Simone Massi con il David di Donatello ottenuto nel 2012 per il corto “Dell’ammazzare il maiale” di cui lei ha curato le riprese. (Foto di Peppe Di Caro- lesfriches-mc.blogspot.com)

In realtà tutto è iniziato come un gioco: un giorno Simone mi ha chiesto di fare un disegno per lui, ed è venuto bene. Ne ho fatti degli altri e vedevo che ogni volta il risultato era migliore. Ho continuato a disegnare per diversi mesi, ho sperimentato diverse tecniche finché non ho trovato la “mia”: tempera e acrilici su carta. Poi sono andata a mostrare le mie prove agli insegnanti dell’Istituto d’Arte di Urbino: volevo sentire anche la loro opinione, ricevere i loro consigli. Dopo aver visto i miei lavori mi hanno incoraggiato a continuare, affermando che evidenziavano un ottimo senso del colore.

L’animazione che faccio è artigianale, realizzata tutta a mano e su carta, prima con la matita e poi, quando il line-test è finito, colorando ogni singola immagine con tempere ed acrilici. L’idea di usare il computer non mi ispira, di certo ci guadagnerei in termini di comodità e di tempo ma verrebbe a mancare il piacere di disegnare. Ho bisogno di sentire la carta sotto le mani, l’odore dei colori, di tenere il pennello in mano. Mi rendo conto di aver scelto una strada lunga e faticosa, ma la soddisfazione finale ripaga tutto. Quando guardi il tuo film finito, montato e con la colonna sonora, provi una sensazione unica. I personaggi che disegnavi giorno per giorno finalmente appaiono vivi.

GZ- Il tuo lavoro autoriale nell’animazione e la tua personale concezione di “animazione poetica e pittorica”.

L’animazione poetica per me è un qualcosa che va oltre la narrazione: mi colpisce per la sua delicatezza, suscita dentro di me un sentimento forte, straniante. Sono quel tipo di opere che non dicono tutto ad una prima visione ma conservano un mistero, e ti spingono a riguardarli ancora e ancora.

Per me, anche in veste di spettatrice, la tecnica di animazione ha una grande importanza. Di solito mi attraggono i film eseguiti con tecniche analoghe alla mia, o comunque dove il colore è rappresentato in tutta la sua bellezza ed espressività. E’ ciò che ho cercato di fare nel mio cortometraggio d’esordio, “L’anima Mavì”, che nasce da un sogno fatto a Kiev nel 2005: la visione di tante mele rosse che cadevano dal cielo.

Ho un’attenzione particolare verso quello che sogno, i sogni speciali li scrivo nel block notes, come faceva Fellini.

Quell’immagine delle “mele cadenti” mi aveva colpita molto, e da lì ho voluto sviluppare una storia completa, inserendo una figura maschile (mio nonno) e uno dei miei gatti rossi. Si tratta di una storia onirica, fatta di persone che sognano e si incontrano nei sogni, di anime libere in volo.

GZ- “Il sogno di Giada” tratta di autismo e onoterapia, il lavoro per “LeMusiche LeAli” aveva come sottotesto il diritto all’acqua: nella scelta di temi più direttamente “enunciati”, cosa ti guida?

I film che hai menzionato sono entrambi lavori su commissione. Sicuramente il tema di questi lavori meno personali dev’essere in linea con i miei principi e le mie convinzioni. Per esempio, non riuscirei mai a trattare tematiche che hanno a che fare con la violenza o la guerra.

GZ- Se Massi dichiara di “sognare in bianco e nero”, il tuo stile appare decisamente condizionato dal colore, come se esprimeste – in modo opposto e complementare – un analogo paesaggio interiore fatto di infanzia, paesaggi rurali, animali che “sentono”, figure misteriose al contempo buffe e inquietanti, cose e persone (forse) perdute cui restituire una voce – un sussurro – tramite il duro lavoro delle mani da cui scaturiscono memorie dense ed eteree come le nuvole di Pasolini. Una riflessione su questa suggestione.

 Io e Simone abbiamo in comune anzitutto la visione delle cose, la sensibilità nei confronti dei bambini, degli animali, degli esseri innocenti che posseggono un’anima “mavì”, azzurro-chiaro come quel bellissimo colore amato da Michelangelo e oggi quasi dimenticato, almeno a livello lessicale. Ci esprimiamo però in modo diverso: lui usa esclusivamente il bianco e nero, io invece vedo il mondo attraverso un prisma di colori. Non riesco a immaginare le mie animazioni diversamente.

Ma la meraviglia della vita sta proprio nella nostra unicità e irripetibilità, nel fatto cioè che ognuno porta con se il bagaglio dei propri colori e della propria cultura, di storie e di idee, che tutti insieme consentono un autentico scambio e la possibilità di completarsi e arricchirsi a vicenda.

GZ- Gli elementi della tradizione russa paiono amalgamarsi con naturalezza a quelli della tua cultura d’adozione (in un’intervista sostieni, se non erro, di “pensare e sognare in italiano”): è frutto di un lungo lavoro di sintesi e “assimilazione reciproca” oppure il processo è stato spontaneo?

Non ci ho mai pensato ma credo di poter dire che sia successo naturalmente. Appartenere a due culture diverse la considero una fortuna, è come sentire scorrere dentro di te una fiumana (non appare casuale il riferimento al suo omonimo film ritenuto dalla critica finora il più maturo, n.d.G.) di sentimenti e parole, ricordi e visioni che si mischiano, si confondono e diventano ogni giorno più preziosi. Li custodisco con cura dentro al mio cuore, come è giusto.

Oggi vivo in campagna a stretto contatto con la natura, mi piace molto la dolcezza del paesaggio marchigiano, e le sfumature con cui vengono lavorati i campi. Ma sono sempre molto legata ai luoghi e ai volti della mia infanzia, come è giusto che sia.

Per cui, in ogni mio film emerge questo continuo incrocio di sogni e culture: una tavolozza su cui si mischiano i ricordi e i colori della bambina che sono stata e della persona che sono oggi.

GZ- La memoria è un elemento fondante della tua poetica come di quella di Massi: quali analogie e quali sostanziali differenze metteresti in luce sotto questo aspetto?

E’ vero, entrambi diamo tanta importanza alla memoria e ai ricordi, soprattutto quelli più lontani nel tempo e legati alla nostra infanzia. Ma le analogie credo finiscano qui, perché Simone è legatissimo al proprio territorio e alla sua storia mentre io, come dicevo, sento di essere parte di due culture e le amo entrambe. Tutti e due inseriamo un animale fra i personaggi fissi del film (a Simone piacciono i cani, mentre io adoro i gatti) ma la memoria cui ci riferiamo è vissuta e raccontata in maniera diversa. Simone è più “politico”, nel senso che ha scelto di affrontare e raccontare due tematiche come la civiltà contadina e la lotta partigiana mentre i miei lavori risultano più onirici, più astratti, una sorta di ricerca che ha a che fare con l’anima e con i sentimenti.

GZ- In Massi appaiono molto importanti alcuni precisi riferimenti letterari e cinematografici, da Pavese a Tarkovskij; nel tuo caso l’impressione è che prevalgano i maestri della pittura, soprattutto Kandinskij e Van Gogh, ma anche Chagall, Magritte, Cèzanne… dei quali si trovano anche esplicite citazioni grafiche e concettuali nei tuoi lavori: qualche parola su questa suggestione.

Ognuno si sceglie come riferimento il maestro che sente più vicino, l’astro che ci pare illumini meglio il nostro cammino. Poi, chiaramente,  occorre essere sempre consapevoli della distanza che ci separa da loro.

GZ- Un altro elemento evidente dei tuoi film è quello onirico: come racconteresti il tuo personale “linguaggio del sogno”?

Come già spiegato, da sempre porgo tanta attenzione verso i sogni che faccio. Ce ne sono alcuni che ho fatto da bambina piccola e che ancora porto dentro di me. Quando abitavo a Kharkov, in Ucraina, avevo spesso un sogno angosciante: un aereo che cadeva a terra, in totale silenzio, vicino a casa mia. Adesso capisco che era la conseguenza dell’esperienza che all’epoca sperimentavo ogni giorno, quando vedevo gli aerei abbassarsi sopra casa mia, diretti verso le piste d’atterraggio dell’aeroporto.

Quando dormiamo e il nostro corpo si riposa, l’anima si libera dal corpo e viaggia tutta la notte finché non torna il momento del risveglio, ovvero “dell’atterraggio”. I sogni sono il nostro volo libero, e li riceviamo come un dono. Quello dei sogni è un universo affascinante, e io mi sforzo di capirne il segreto e il linguaggio. E’ inevitabile che diventino anche fonte d’ispirazione per le mie storie.

GZ- La colonna sonora (silenzi compresi) appare fondamentale nella resa dei tuoi film (come in quelli di Massi è basilare la sinergia con Francesca Badalini e Stefano Sasso, altri due artisti “artigiani”) – appare il risultato di un dialogo stretto ma anche di una solida fiducia reciproca: cosa puoi dire di questo legame?

Francesca è bravissima, possiede una mirabile capacità di ascoltare e una  grande sensibilità. Con lei ci siamo sempre trovate a meraviglia, proprio per essere riuscite a sviluppare un sentire comune. Le sue musiche danno grande forza evocativa ai miei lavori.

GZ- Qualche parola sul tuo lavoro di illustratrice: in che modo si amalgama con quello di animatrice? Eventuali progetti artistici futuri?

In realtà ho illustrato pochissimi libri, due di questi – per una simpatica coincidenza- mi sono stati commissionati durante la prima e la seconda gravidanza. Il mestiere dell’illustratore è bellissimo perché, a differenza del regista d’animazione, puoi vedere il risultato finale molto prima. Ma c’è tanta concorrenza, e c’è chi è tanto più bravo di me. Il mio sogno è quello di illustrare un libro di poesie, o i racconti di Cesare Pavese. Ho tanti progetti nel cassetto, non basterebbe la vita per realizzarli tutti.

Adesso sto portando avanti un piccolo film d’animazione che parla del mare, ma la strada è ancora lunga: mi aspettano ancora 400 fotogrammi da colorare!

Poi, mi piacerebbe dedicare un progetto all’universo di Federico Fellini, e un altro al tema del rispetto verso gli animali.

GZ- Ultima domanda: entrambi “non stravedete” per l’animazione di tipo “cartoon” che domina il botteghino, dunque mi chiedevo se e quale tipo di animazione condividete/condividereste coi vostri figli. Viste le polemiche – a mio avviso assai strumentali e sensazionalistiche (Hollywood è Hollywood, dopotutto) – dopo le esternazioni Disney (che è comunque una multinazionale e come tale agisce) agli Oscar, mi chiedevo, in quanto animatori, quali influenze in questo ambito vi sentireste di elargire alla prole, anche solo per fornirle degli strumenti critici quando, in futuro, dovessero affrontare l’ondata mainstream.

Personalmente provo quanto possibile ad avvicinare i miei figli all’animazione artistica: gli ho fatto vedere “Il riccio nella nebbia” di Norstein, e poi a loro piacciono le favole tradizionali russe. Non nascondo che i miei bambini guardano anche i cartoni sulla tv, e lì la situazione non mi pare proprio buona. Per fortuna ogni tanto capita qualche corto della produzione francese che porta l’imprinting artistico, o validi prodotti “d’epoca” quali “Pimpa” o “I Barbapapà”.

Insomma, come cerco di stare molto attenta nella scelta dei libri per loro, altrettanto provo a fare riguardo alla qualità dell’offerta audiovisiva.

Chiamato in causa dalla domanda, riportiamo anche la risposta di Simone Massi:

“Come genitore sto attento a ciò che mangiano, con cui giocano e a quello che guardano in tv o altrove, ma tenendo ben presente che i bambini hanno il diritto di essere bambini e come tali mangiare la cioccolata, giocare con le bambole o le macchinine, rompere vasi e guardare i cartoni animati che li divertono. So separare il mestiere che faccio e il ruolo di padre… o almeno così mi pare.”

Per oggi il “Magico Kolobok” si ferma qui, ma per chi vuole continuare il viaggio per conto suo, i film di Julia si trovano tutti QUI.

*Il KROK International Animated Films Festival è un festival internazionale annuale di film di animazione e uno dei principali festival di animazione nel territorio dell’ex Unione Sovietica. Si tiene in Russia negli anni pari e in Ucraina negli anni dispari.


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